martes, 25 de mayo de 2010
El ostracismo de los hombres de Mayo
La mayoría de los miembros de la Primera Junta de Gobierno que el 25 de mayo de 1810 iniciaron el proceso de la emancipación nacional, tuvieron un final en el ostracismo, sin el reconocimiento de sus conciudadanos.
El ostracismo de los hombres de Mayo
Por Rosendo Fraga
lanacion.com Política Martes 25 de mayo de 2010
Roma también festejó el Bicentenario
Con motivo del festejo del Bicentenario, se proyectaron anoche en el Coliseo de Roma una serie de imágenes de Argentina. El espectáculo, que duró unos cuatro minutos, fue programado justo a medianoche, hora local, en concordancia con el momento en el que se cumplen los dos siglos de la Revolución del 25 de Mayo de 1810.
http://www.perfil.com/contenidos/2010/05/25/noticia_0015.html
http://www.perfil.com/contenidos/2010/05/25/noticia_0015.html
lunes, 24 de mayo de 2010
Più di 4000 membri delle varie comunità hanno partecipato alla sfilata di integrazione
La chiusura si ha fatto con fuochi d'artificio... bellissimo
Sfilata della integrazione - domenica 23 maggio 2010
Quarto giorno di festeggiamenti
200 º anniversario della Rivoluzione di Maggio
Passeggiare nella grande al centro della Avenida 9 de Julio, al transito del passato, presente e futuro. Spettacolare shows, stands e giostre a tema, l'identità Argentina per celebrare 200 anni con tutti e per tutti.
Dal 21 maggio, alle 18 pm., al 25 incluso, gli argentini potranno godere il giro del Bicentenario, uno spazio aperto federale che segnerà il 200 ° anniversario della Rivoluzione di maggio, con tutte le province e dei paesi invitati, molti dei quali anche festeggiato il suo bicentenario.
Mentre la commemorazione si fa in tutto il 2010, questo evento sarà l'unico in cui le province saranno rappresentate ed anche i paesi invitati. L’obiettivo è di riflettere una nazione federale, pluralista e partecipativa, con un occhio sul continente americano en nella valutazione dei principali problema nazionali.
La passeggiata sarà situata su tutta la larghezza della Avenida 9 de Julio, da Belgrano a Corrientes. L'intero percorso è un corollario a simboleggiare il viaggio attraverso l'Argentina da nord a sud.
Dal 21 maggio, alle 18 pm., al 25 incluso, gli argentini potranno godere il giro del Bicentenario, uno spazio aperto federale che segnerà il 200 ° anniversario della Rivoluzione di maggio, con tutte le province e dei paesi invitati, molti dei quali anche festeggiato il suo bicentenario.
Mentre la commemorazione si fa in tutto il 2010, questo evento sarà l'unico in cui le province saranno rappresentate ed anche i paesi invitati. L’obiettivo è di riflettere una nazione federale, pluralista e partecipativa, con un occhio sul continente americano en nella valutazione dei principali problema nazionali.
La passeggiata sarà situata su tutta la larghezza della Avenida 9 de Julio, da Belgrano a Corrientes. L'intero percorso è un corollario a simboleggiare il viaggio attraverso l'Argentina da nord a sud.
Rivoluzione di Maggio
Un poco di storia…
Il “Virreinato del Rio de la Plata” era una entità territoriale, un membro dell'Impero spagnolo, con sede durante il periodo di dominio americano. E 'stato provvisoriamente stabilito 1 agosto 1776 e in forma definitiva il 27 Ottobre 1777 da re Carlo III, su proposta del Ministro delle Indie, José de Gálvez y Gallardo.
Il 25 maggio 1810, poco dopo l’arrivo a Buenos Aires la noticia che Siviglia (Spagna) era caduto nelle mani delle truppe di Napoleone, è stato fondato a Buenos Aires il Primer Gobierno Patrio (primo governo locale). Riuniti in Plaza de la Victoria, oggi Plaza de Mayo, il popolo di Buenos Aires imposto la sua volontà e ha creato il consiglio di amministrazione provvisoria del Rio de la Plata, conosciuta come la Primera Junta (prima commissione). Ebbe così inizio il proceso rivoluzionario che porterà alla Dichiarazione di Independenza il 9 luglio 1816.
Dopo la rivoluzione di maggio si avvertì l'esigenza di emanare una Costituzione per la Nazione Argentina, al fine di formare l’unione nazionale, afianzar (garantire) la giustizia e la pace interiore.
La prima riunione si è tenuta il 31 maggio 1852 nella città di San Nicolás de los Arroyos, ricordando lo stesso con il nome di “Acuerdo de San Nicolás”. Il 1º maggio 1853 i deputati delle province (ad eccezione di Buenos Aires), riunito a Santa Fe, sancionan (promulgata) la Costituzione.
La Costituzione promulgata ha dichiarato:
.Un governo representativo (rappresentante), repubblicano e federale. Il federalismo è stato moderato, ha riconosciuto l'autonomia delle province, ma anche organizzato un potere centrale.
•Il potere legislativo è stato determinato come bicamerale, il potere esecutivo, come una sola persona (unipersonal), eletto da un collegio elettorale senza possibilità di rielezione e del sistema giudiziario come indipendente.
•Il cattolicesimo fu riconosciuto come religione ufficiale, ma è garantita la libertà di culto.
•Le costituzioni provinciale deve essere approvato dal governo nazionale e provinciale i governi potrebbero essere giudicato dal Congresso Nazionale.
•Il governo nazionale ha il potere di sospendere le garanzie costituzionali da parte dello stato di emergenza e di intervenire nelle province.
•È stato dichiarato la città di Buenos Aires come sede delle autorità nazionali.
•Ha detto che l'esercizio delle libertà individuali e chiamato ad abitare la nostra terra a tutte le persone di diverse nazionalità, dando loro diritti civili.
La riforma costituzionale 1994
Nel complesso, la riforma non ha modificato i principali contenuti della Costituzione del 1853, anche se ha cambiato parte della struttura istituzionale e aggiunto nuovi diritti dal riconoscimento di rango costituzionale di trattati internazionali sui diritti umani.
Il progetto di reforma costituzionale del 1994, proveniva da due forze accordo tra il partito di maggioranza in quel momento: il Partito Peronista e l’Unione Civica Radicale.
L’accordo, successivamente convertito nella legge 24309, compreso un nucleo di somiglianze di base, tra i quali:
•Elezione diretta del Presidente e del Vice Presidente e l'inclusione dei ballottage;
•elezione diretta dei tre senatori (di cui uno dovrebbe rappresentare la minoranza);
•elezione diretta del Capo del Governo della Città Autonoma di Buenos Aires;
•Riduzione del mandato presidenziale di quattro anni;
•L'unica possibilità di rielezione presidenziale;
Il “Virreinato del Rio de la Plata” era una entità territoriale, un membro dell'Impero spagnolo, con sede durante il periodo di dominio americano. E 'stato provvisoriamente stabilito 1 agosto 1776 e in forma definitiva il 27 Ottobre 1777 da re Carlo III, su proposta del Ministro delle Indie, José de Gálvez y Gallardo.
Il 25 maggio 1810, poco dopo l’arrivo a Buenos Aires la noticia che Siviglia (Spagna) era caduto nelle mani delle truppe di Napoleone, è stato fondato a Buenos Aires il Primer Gobierno Patrio (primo governo locale). Riuniti in Plaza de la Victoria, oggi Plaza de Mayo, il popolo di Buenos Aires imposto la sua volontà e ha creato il consiglio di amministrazione provvisoria del Rio de la Plata, conosciuta come la Primera Junta (prima commissione). Ebbe così inizio il proceso rivoluzionario che porterà alla Dichiarazione di Independenza il 9 luglio 1816.
Dopo la rivoluzione di maggio si avvertì l'esigenza di emanare una Costituzione per la Nazione Argentina, al fine di formare l’unione nazionale, afianzar (garantire) la giustizia e la pace interiore.
La prima riunione si è tenuta il 31 maggio 1852 nella città di San Nicolás de los Arroyos, ricordando lo stesso con il nome di “Acuerdo de San Nicolás”. Il 1º maggio 1853 i deputati delle province (ad eccezione di Buenos Aires), riunito a Santa Fe, sancionan (promulgata) la Costituzione.
La Costituzione promulgata ha dichiarato:
.Un governo representativo (rappresentante), repubblicano e federale. Il federalismo è stato moderato, ha riconosciuto l'autonomia delle province, ma anche organizzato un potere centrale.
•Il potere legislativo è stato determinato come bicamerale, il potere esecutivo, come una sola persona (unipersonal), eletto da un collegio elettorale senza possibilità di rielezione e del sistema giudiziario come indipendente.
•Il cattolicesimo fu riconosciuto come religione ufficiale, ma è garantita la libertà di culto.
•Le costituzioni provinciale deve essere approvato dal governo nazionale e provinciale i governi potrebbero essere giudicato dal Congresso Nazionale.
•Il governo nazionale ha il potere di sospendere le garanzie costituzionali da parte dello stato di emergenza e di intervenire nelle province.
•È stato dichiarato la città di Buenos Aires come sede delle autorità nazionali.
•Ha detto che l'esercizio delle libertà individuali e chiamato ad abitare la nostra terra a tutte le persone di diverse nazionalità, dando loro diritti civili.
La riforma costituzionale 1994
Nel complesso, la riforma non ha modificato i principali contenuti della Costituzione del 1853, anche se ha cambiato parte della struttura istituzionale e aggiunto nuovi diritti dal riconoscimento di rango costituzionale di trattati internazionali sui diritti umani.
Il progetto di reforma costituzionale del 1994, proveniva da due forze accordo tra il partito di maggioranza in quel momento: il Partito Peronista e l’Unione Civica Radicale.
L’accordo, successivamente convertito nella legge 24309, compreso un nucleo di somiglianze di base, tra i quali:
•Elezione diretta del Presidente e del Vice Presidente e l'inclusione dei ballottage;
•elezione diretta dei tre senatori (di cui uno dovrebbe rappresentare la minoranza);
•elezione diretta del Capo del Governo della Città Autonoma di Buenos Aires;
•Riduzione del mandato presidenziale di quattro anni;
•L'unica possibilità di rielezione presidenziale;
domingo, 23 de mayo de 2010
jueves, 13 de mayo de 2010
Súmate a la lucha
Hoy se cumplen 2 meses de la creación de la página "Súmate a la lucha para promover la prevención contra el cáncer de mama" en FB
Para mi sorpresa la misma ya cuenta con más de 10000 seguidores, de ambos sexos y de todas las edades. Muchos de los que ingresan allí lo hacen para compartir sus experiencias, otros simplemente para dejar un mensaje de aliento, eso depende de las necesidades de cada uno. A mi parecer, es un pequeño lugar de encuentro que en primer lugar tiene como objetivo tomar conciencia, tomar conciencia de la importancia de los controles periódicos.
Por otra parte, pude observar que a muchos les permite compartir su experiencia y dar aliento a quienes padecen esta enfermedad.
En la página se publican también notas, artículos periodísticos, trabajos de divulgación científica, etc. ¿Cuál es el objetivo de esto? que la gente a través de la información, pueda derribar muros de tabú que aún existen en torno a esta enfermedad.
Para concluir, como mujeres creo que tenemos derecho a realizarnos periódicamente los controles tengamos o no una obra social o cobertura privada, tener acceso a los mismos, pero considero también que tenemos responsabilidad... si somos responsables de realizar dichos controles, y se preguntarán por qué... por nuestras familias y nuestros amigos.
Gracias a todos por ayudar a difundirla:
http://www.facebook.com/home.php?#!/pages/Sumate-a-la-lucha-para-promover-la-prevencion-contra-el-cancer-de-mama/363262559597?ref=mf
Para mi sorpresa la misma ya cuenta con más de 10000 seguidores, de ambos sexos y de todas las edades. Muchos de los que ingresan allí lo hacen para compartir sus experiencias, otros simplemente para dejar un mensaje de aliento, eso depende de las necesidades de cada uno. A mi parecer, es un pequeño lugar de encuentro que en primer lugar tiene como objetivo tomar conciencia, tomar conciencia de la importancia de los controles periódicos.
Por otra parte, pude observar que a muchos les permite compartir su experiencia y dar aliento a quienes padecen esta enfermedad.
En la página se publican también notas, artículos periodísticos, trabajos de divulgación científica, etc. ¿Cuál es el objetivo de esto? que la gente a través de la información, pueda derribar muros de tabú que aún existen en torno a esta enfermedad.
Para concluir, como mujeres creo que tenemos derecho a realizarnos periódicamente los controles tengamos o no una obra social o cobertura privada, tener acceso a los mismos, pero considero también que tenemos responsabilidad... si somos responsables de realizar dichos controles, y se preguntarán por qué... por nuestras familias y nuestros amigos.
Gracias a todos por ayudar a difundirla:
http://www.facebook.com/home.php?#!/pages/Sumate-a-la-lucha-para-promover-la-prevencion-contra-el-cancer-de-mama/363262559597?ref=mf
miércoles, 12 de mayo de 2010
Après moi le déluge
La expresión Après moi le déluge, y sus antecedentes clásicos
Al rey de Francia Luis XV (1710-1774) se atribuye la frase Après moi, le déluge (“Después de mí, el diluvio”).
Según otra interpretación, la frase habría sido acuñada no propiamente por el rey, sino por su amante más famosa, Madame de Pompadour (1721-1764).
En cualquier caso, la frase tuvo una cierta cualidad profética, si la interpretamos post eventum como alusiva al estallido de la Revolución Francesa (1789-1799) , que tuvo lugar tres lustros después de la muerte del rey y que costó la vida a su nieto y sucesor, Luis XVI.
Como primer acercamiento al dicho, adviértase que se trata de una frase nominal, esto es, sin verbo explícito. Según el verbo que suplamos implícitamente (y el modo verbal), la frase puede tener dos significados distintos, aunque relacionados:
a) Por un lado, si suplimos "Después de mí vendrá el diluvio", el dicho parece implicar, como afirmación asertiva: “Tras mi reinado, el país quedará sumido en el caos y en la destrucción”.
b) También podría entenderse el verbo en subjuntivo concesivo: “Después de mí, que venga (puede venir, para lo que a mí me importa) el diluvio”. En este segundo caso, el sujeto afirma que nada le importa lo que ocurra tras su desaparición.
Vamos a rastrear los antecedentes clásicos de esta famosa expresión, y ya anticipo que prácticamente todos estos antecedentes inciden más en la noción b) que en la a).
Parece que en Grecia existía una expresión o dicho proverbial, que es recogida en verso en un fragmento de tragedia de autor no identificado (Tragicorum Fragmenta Adespota, 513 Nauck):
ἐμοῦ θανόντος γαῖα μιχθήτω πυρί•
οὐδὲν μέλει μοι• τἀμὰ γὰρ καλῶς ἔχει.
Cuando yo muera, que la tierra se mezcle con el fuego:
nada me importa, pues mis asuntos no serán afectados.
Resulta significativo que Séneca (4 a.C.-65 d.C.) aluda a esta frase en su tratado De clementia, dirigido a Nerón y compuesto en el año 56 d.C. Séneca parafrasea en latín la frase griega, y la descalifica como un apotegma egoísta e insolidario (2.2.2):
illud mecum considero multas voces magnas, sed detestabiles, in vitam humanam pervenisse celebresque volgo ferri, ut illam: 'oderint, dum metuant,' cui Graecus versus similis est, qui se mortuo terram misceri ignibus iubet, et alia huius notae.
Considero en mi fuero interno que muchas expresiones pomposas, aunque execrables, pasan por verdaderas entre el género humano y son repetidas frecuentemente por el pueblo, como por ejemplo: "Que me odien, con tal de que me teman". A la cual es semejante el verso griego de uno, que insta a que, muerto él, la tierra se mezcle con los fuegos, y otras expresiones del mismo estilo.
El poeta latino Lucrecio (99-55 a.C.) escribió su poema didáctico De rerum natura para difundir en Roma, bajo el ropaje del verso, la filosofía epicúrea. Uno de los postulados del epicureísmo es que el alma humana es mortal; por tanto, no ha de temerse a la muerte, ya que no tendremos conciencia ni percepción sensorial una vez muertos. Lucrecio, para expresar convincentemente la noción, argumenta que no sentiremos nada una vez muertos, aunque entonces se produzcan enormes cataclismos. Estos cataclismos consisten en que se mezcle la tierra con el mar, y el mar con el cielo. La mezcla de tierra y mar se puede entender como una forma de diluvio o inundación, y, por tanto, estaría anticipando claramente la frase de Luis XV.
scilicet haud nobis quicquam, qui non erimus tum,
accidere omnino poterit sensumque movere,
non si terra mari miscebitur et mare caelo. (3.840-842)
Ciertamente entonces, cuando no existamos, nada
en absoluto podrá acontecernos ni excitar nuestros sentidos,
ni aunque la tierra se mezcle con el mar, y el mar con el cielo.
Aunque no contenga exactamente mención del diluvio ni de otros cataclismos, no me resisto a recordar aquí una ocurrencia atribuida al filósofo cínico Diógenes (412-323 a.C.), y transmitida por Cicerón. También de esta anécdota se infiere la convicción de que no hay que preocuparse de los males que puedan sobrevenir tras nuestra muerte:
durior Diogenes, et is quidem eadem sentiens, sed ut Cynicus asperius: proici se iussit inhumatum. tum amici: 'volucribusne et feris?' 'minime vero' inquit, 'sed bacillum propter me, quo abigam, ponitote.' 'qui poteris?' illi, 'non enim senties.' 'quid igitur mihi ferarum laniatus oberit nihil sentienti?' (Tusculanae Disputationes 1.43.104)
Diógenes era más radical, y, aunque compartiendo ciertamente la misma opinión, más hosco, como cínico que era: ordenó que fuera arrojado sin enterrar. Entonces los amigos le objetaron: "¿Como pasto de aves y alimañas?" "No, de ninguna manera" -respondió-, sino colocad junto a mí un bastoncito, para que yo las espante." Ellos dijeron: "¿Cómo podrás? Pues no tendrás conciencia." Y él concluyó: "Por tanto, ¿en qué me perjudicará a mí el desgarro de las alimañas, si no tendré conciencia?".
En un epigrama del poeta griego de Estratón de Sardes, de época tardía (siglos II-III d.C.), el sujeto lírico invita al disfrute vital (al carpe diem). Quiere disfrutar de los placeres sensoriales mientras esté vivo; en cambio, una vez muerto, no le importa que venga el diluvio:
Καὶ πίε νῦν καὶ ἔρα, Δαμόκρατες• οὐ γὰρ ἐς αἰεὶ
πιόμεθ’ οὐδ’ αἰεὶ παισὶ συνεσσόμεθα.
καὶ στεφάνοις κεφαλὰς πυκασώμεθα καὶ μυρίσωμεν
αὑτούς, πρὶν τύμβοις ταῦτα φέρειν ἑτέρους.
νῦν ἐν ἐμοὶ πιέτω μέθυ τὸ πλέον ὀστέα τἀμά•
νεκρὰ δὲ Δευκαλίων αὐτὰ κατακλυσάτω.
(Antología Palatina 11.19)
Bebe y ama ahora, Demócrates, pues no para siempre
beberemos ni estaremos junto a los chicos.
Coronemos nuestras cabezas con guirnaldas y perfumémonos,
antes de que otros traigan esas ofrendas a nuestras tumbas.
Que ahora mis huesos se empapen sobre todo de vino,
y, una vez muertos, que los anegue el diluvio de Deucalión.
Este epigrama griego antiguo fue traducido al latín en el Renacimiento por Geraldus Bucoldus y, ya en la literatura española, Diego Hurtado de Mendoza (1503-1575) compondría un soneto que es una recreación del epigrama (para una recitación de este texto, pulsar aquí).
LXII
SONETO
Demócrates, deléitate y bebamos,
que para siempre no se ha de durar.
No puede para siempre el hombre estar
en la vida que ahora nos holgamos.
Pues nos perdemos cuanto acá dejamos,
con ungüento oloroso nos untar
y en guirnaldas las frentes coronar
se procure, que al fin al fin llegamos.
La honra que nos hace la mortaja
quiéromela yo hacer en este mundo
y remojarme en cuanto vino sé.
Y si de acá me llevo esta ventaja,
cuando después llegare en el profundo
¡ahógueme el diluvio de Noé!
En resumen, de este recorrido por los antecedentes clásicos (y también modernos) de la real frase se desprenden dos datos principales: 1) prácticamente todos los ejemplos citados sugieren que la frase del rey francés significa: “no me importa nada que, tras mi muerte, venga el diluvio, o cualquier catástrofe”; 2) la idea de que no debemos preocuparnos por lo que ocurra tras nuestra muerte está bastante difundida en la Antigüedad clásica, y pertenece al ideario de varias escuelas filosóficas (epicureísmo, cinismo) pero, más concretamente, la mención del diluvio en este contexto se documenta ya en Lucrecio y en Estratón de Sardes. Es difícil asegurar si Luis XV (o la Pompadour) se inspiró directamente en uno de estos dos poetas, o acuñó la expresión independientemente. En mi opinión, no es implausible que un rey tan hedonista como Luis XV hubiera leído y asimilado a Lucrecio y, por tanto, pudiera haber tomado el pasaje lucreciano como modelo de su famosísima frase.
Fuente:
http://apresmoiledeluge.blogspot.com/2006/01/la-expresin-aprs-moi-le-dluge-y-sus.html
Al rey de Francia Luis XV (1710-1774) se atribuye la frase Après moi, le déluge (“Después de mí, el diluvio”).
Según otra interpretación, la frase habría sido acuñada no propiamente por el rey, sino por su amante más famosa, Madame de Pompadour (1721-1764).
En cualquier caso, la frase tuvo una cierta cualidad profética, si la interpretamos post eventum como alusiva al estallido de la Revolución Francesa (1789-1799) , que tuvo lugar tres lustros después de la muerte del rey y que costó la vida a su nieto y sucesor, Luis XVI.
Como primer acercamiento al dicho, adviértase que se trata de una frase nominal, esto es, sin verbo explícito. Según el verbo que suplamos implícitamente (y el modo verbal), la frase puede tener dos significados distintos, aunque relacionados:
a) Por un lado, si suplimos "Después de mí vendrá el diluvio", el dicho parece implicar, como afirmación asertiva: “Tras mi reinado, el país quedará sumido en el caos y en la destrucción”.
b) También podría entenderse el verbo en subjuntivo concesivo: “Después de mí, que venga (puede venir, para lo que a mí me importa) el diluvio”. En este segundo caso, el sujeto afirma que nada le importa lo que ocurra tras su desaparición.
Vamos a rastrear los antecedentes clásicos de esta famosa expresión, y ya anticipo que prácticamente todos estos antecedentes inciden más en la noción b) que en la a).
Parece que en Grecia existía una expresión o dicho proverbial, que es recogida en verso en un fragmento de tragedia de autor no identificado (Tragicorum Fragmenta Adespota, 513 Nauck):
ἐμοῦ θανόντος γαῖα μιχθήτω πυρί•
οὐδὲν μέλει μοι• τἀμὰ γὰρ καλῶς ἔχει.
Cuando yo muera, que la tierra se mezcle con el fuego:
nada me importa, pues mis asuntos no serán afectados.
Resulta significativo que Séneca (4 a.C.-65 d.C.) aluda a esta frase en su tratado De clementia, dirigido a Nerón y compuesto en el año 56 d.C. Séneca parafrasea en latín la frase griega, y la descalifica como un apotegma egoísta e insolidario (2.2.2):
illud mecum considero multas voces magnas, sed detestabiles, in vitam humanam pervenisse celebresque volgo ferri, ut illam: 'oderint, dum metuant,' cui Graecus versus similis est, qui se mortuo terram misceri ignibus iubet, et alia huius notae.
Considero en mi fuero interno que muchas expresiones pomposas, aunque execrables, pasan por verdaderas entre el género humano y son repetidas frecuentemente por el pueblo, como por ejemplo: "Que me odien, con tal de que me teman". A la cual es semejante el verso griego de uno, que insta a que, muerto él, la tierra se mezcle con los fuegos, y otras expresiones del mismo estilo.
El poeta latino Lucrecio (99-55 a.C.) escribió su poema didáctico De rerum natura para difundir en Roma, bajo el ropaje del verso, la filosofía epicúrea. Uno de los postulados del epicureísmo es que el alma humana es mortal; por tanto, no ha de temerse a la muerte, ya que no tendremos conciencia ni percepción sensorial una vez muertos. Lucrecio, para expresar convincentemente la noción, argumenta que no sentiremos nada una vez muertos, aunque entonces se produzcan enormes cataclismos. Estos cataclismos consisten en que se mezcle la tierra con el mar, y el mar con el cielo. La mezcla de tierra y mar se puede entender como una forma de diluvio o inundación, y, por tanto, estaría anticipando claramente la frase de Luis XV.
scilicet haud nobis quicquam, qui non erimus tum,
accidere omnino poterit sensumque movere,
non si terra mari miscebitur et mare caelo. (3.840-842)
Ciertamente entonces, cuando no existamos, nada
en absoluto podrá acontecernos ni excitar nuestros sentidos,
ni aunque la tierra se mezcle con el mar, y el mar con el cielo.
Aunque no contenga exactamente mención del diluvio ni de otros cataclismos, no me resisto a recordar aquí una ocurrencia atribuida al filósofo cínico Diógenes (412-323 a.C.), y transmitida por Cicerón. También de esta anécdota se infiere la convicción de que no hay que preocuparse de los males que puedan sobrevenir tras nuestra muerte:
durior Diogenes, et is quidem eadem sentiens, sed ut Cynicus asperius: proici se iussit inhumatum. tum amici: 'volucribusne et feris?' 'minime vero' inquit, 'sed bacillum propter me, quo abigam, ponitote.' 'qui poteris?' illi, 'non enim senties.' 'quid igitur mihi ferarum laniatus oberit nihil sentienti?' (Tusculanae Disputationes 1.43.104)
Diógenes era más radical, y, aunque compartiendo ciertamente la misma opinión, más hosco, como cínico que era: ordenó que fuera arrojado sin enterrar. Entonces los amigos le objetaron: "¿Como pasto de aves y alimañas?" "No, de ninguna manera" -respondió-, sino colocad junto a mí un bastoncito, para que yo las espante." Ellos dijeron: "¿Cómo podrás? Pues no tendrás conciencia." Y él concluyó: "Por tanto, ¿en qué me perjudicará a mí el desgarro de las alimañas, si no tendré conciencia?".
En un epigrama del poeta griego de Estratón de Sardes, de época tardía (siglos II-III d.C.), el sujeto lírico invita al disfrute vital (al carpe diem). Quiere disfrutar de los placeres sensoriales mientras esté vivo; en cambio, una vez muerto, no le importa que venga el diluvio:
Καὶ πίε νῦν καὶ ἔρα, Δαμόκρατες• οὐ γὰρ ἐς αἰεὶ
πιόμεθ’ οὐδ’ αἰεὶ παισὶ συνεσσόμεθα.
καὶ στεφάνοις κεφαλὰς πυκασώμεθα καὶ μυρίσωμεν
αὑτούς, πρὶν τύμβοις ταῦτα φέρειν ἑτέρους.
νῦν ἐν ἐμοὶ πιέτω μέθυ τὸ πλέον ὀστέα τἀμά•
νεκρὰ δὲ Δευκαλίων αὐτὰ κατακλυσάτω.
(Antología Palatina 11.19)
Bebe y ama ahora, Demócrates, pues no para siempre
beberemos ni estaremos junto a los chicos.
Coronemos nuestras cabezas con guirnaldas y perfumémonos,
antes de que otros traigan esas ofrendas a nuestras tumbas.
Que ahora mis huesos se empapen sobre todo de vino,
y, una vez muertos, que los anegue el diluvio de Deucalión.
Este epigrama griego antiguo fue traducido al latín en el Renacimiento por Geraldus Bucoldus y, ya en la literatura española, Diego Hurtado de Mendoza (1503-1575) compondría un soneto que es una recreación del epigrama (para una recitación de este texto, pulsar aquí).
LXII
SONETO
Demócrates, deléitate y bebamos,
que para siempre no se ha de durar.
No puede para siempre el hombre estar
en la vida que ahora nos holgamos.
Pues nos perdemos cuanto acá dejamos,
con ungüento oloroso nos untar
y en guirnaldas las frentes coronar
se procure, que al fin al fin llegamos.
La honra que nos hace la mortaja
quiéromela yo hacer en este mundo
y remojarme en cuanto vino sé.
Y si de acá me llevo esta ventaja,
cuando después llegare en el profundo
¡ahógueme el diluvio de Noé!
En resumen, de este recorrido por los antecedentes clásicos (y también modernos) de la real frase se desprenden dos datos principales: 1) prácticamente todos los ejemplos citados sugieren que la frase del rey francés significa: “no me importa nada que, tras mi muerte, venga el diluvio, o cualquier catástrofe”; 2) la idea de que no debemos preocuparnos por lo que ocurra tras nuestra muerte está bastante difundida en la Antigüedad clásica, y pertenece al ideario de varias escuelas filosóficas (epicureísmo, cinismo) pero, más concretamente, la mención del diluvio en este contexto se documenta ya en Lucrecio y en Estratón de Sardes. Es difícil asegurar si Luis XV (o la Pompadour) se inspiró directamente en uno de estos dos poetas, o acuñó la expresión independientemente. En mi opinión, no es implausible que un rey tan hedonista como Luis XV hubiera leído y asimilado a Lucrecio y, por tanto, pudiera haber tomado el pasaje lucreciano como modelo de su famosísima frase.
Fuente:
http://apresmoiledeluge.blogspot.com/2006/01/la-expresin-aprs-moi-le-dluge-y-sus.html
jueves, 6 de mayo de 2010
No soy responsable che...
Afirman que las mujeres lindas son perjudiciales para la salud de los hombres
Un estudio señala que, frente a ellas, los varones liberan una hormona relacionada con el estrés por la presión que les genera intentar conquistarla
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